Un pensiero sulla ritrosia femminile
“La sua reazione proviene da uno strato molto più profondo di quello dei divieti convenzionali o delle inibizioni di ordine psicologico. E’ l’indizio segreto di una frigidità arcaica, dell’angoscia che l’animale femminile non può fare a meno di provare di fronte all’accoppiamento, che le procura solo dolore. Il piacere è una conquista tardiva […] Qualcosa di questa esperienza e di questo modo di sentire si è conservato nelle donne […] La memoria dell’antica lesione continua a vivere, mentre il dolore fisico e l’angoscia immediata sono stati rimossi e cancellati dalla civiltà. La società torna continuamente a rigettare la dedizione femminile nella situazione della vittima sacrificale da cui ha liberato le donne. Chiunque si sforzi di persuadere una povera ragazza ad andare a letto con lui non può mancare di avvertire e di riconoscere il tenue momento di legittimità che è insito nella sua riluttanza, il solo privilegio che la società patriarcale lasci alla donna, che, una volta persuasa e sopraffatta, dopo il breve trionfo del no deve pagare subito le spese. Essa sa che, essendo quella che si dona, è insieme, da tempi immemorabili, anche quella che viene ingannata. Ma se, per questo motivo, si dimostra avara di sé, viene ingannata doppiamente. Ciò è espresso nel consiglio che la tenutaria di un bordello rivolge a una novizia in un dramma di Wedekind: “C’è solo un mezzo in questo mondo per essere felici, ed è quello di fare tutto quello che si può per rendere felici gli altri”. La possibilità di raggiungere il piacere dipende dalla dedizione illimitata di sé, di cui le donne, prigioniere della loro angoscia arcaica, sono altrettanto incapaci degli uomini nella loro boria. Non solo la possibilità oggettiva, ma anche l’attitudine soggettiva alla felicità appartiene solo al regno della libertà.” Theodor W. Adorno